Caso 267 del 15/07/2011
Per verificare il diritto alla prestazione complementare, come si considera la vita in comunione domestica del richiedente con l’ex coniuge da cui risulta divorziato?
In una sentenza del 25 febbraio 2011, il Tribunale federale di Losanna ha stabilito quanto segue
Fatto salvo l’abuso di diritto, la prestazione complementare di un assicurato che per motivi contingenti continua a vivere in comunione domestica con l’ex coniuge da cui è divorziato non può calcolarsi secondo le regole valide per i coniugi.
Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni
X., nato nel 1935, è divorziato dall'agosto 2005 e dal mese di ottobre dello stesso anno è stato posto al beneficio di prestazioni complementari all'AVS/AI. Dopo essersi trasferito in Ticino e avere, insieme alla ex moglie, preso in locazione - dividendone le spese - un appartamento di 4 1/2 locali a B., l'assicurato ha presentato domanda di prestazioni complementari alla Cassa di compensazione del Cantone Ticino, la quale però, per decisione del 21 maggio 2009, ha rifiutato la richiesta. L'amministrazione ha infatti sommato i redditi computabili e le spese riconosciute di entrambi gli ex coniugi ed ha accertato una eccedenza dei primi sulle seconde. Tutte le istanze cantonali hanno confermato tale decisione. Il Tribunale federale ha per contro accolto il ricorso di X.
Hanno segnatamente diritto a prestazioni complementari le persone domiciliate e dimoranti abitualmente in Svizzera che ricevono una rendita di vecchiaia dell'AVS (art. 4 cpv. 1 lett. a LPC, nella versione applicabile in concreto, in vigore dal 1° gennaio 2008), ma il cui fabbisogno vitale non è coperto dall'AVS (art. 112a cpv. 1 Cost.); l'importo della prestazione complementare annua è pari alla quota delle spese riconosciute (art. 10 LPC) che eccede i redditi computabili (art. 9 cpv. 1 e art. 11 LPC); le spese riconosciute come pure i redditi computabili dei coniugi sono di massima sommati (art. 9 cpv. 2 LPC).
Oggetto del contendere è la questione di sapere se occorre sommare i redditi computabili e le spese riconosciute degli ex coniugi nonostante il loro matrimonio fosse stato sciolto per divorzio e gli stessi andassero di per sé, formalmente, considerati quali persone sole ai fini del calcolo della prestazione complementare.
Il Trbunale federale ha indicato che il ricorrente e la ex moglie, dalla quale è divorziato ma con cui continua a vivere in comunione domestica, non possono essere considerati analogamente a una coppia coniugata per la definizione del calcolo della prestazione complementare. Osta infatti a una simile interpretazione già solo il chiaro tenore letterale dell'art. 9 cpv. 2 LPC che - per quanto concerne la fattispecie in esame - limita la possibilità di sommare i redditi computabili e le spese riconosciute ai soli coniugi ("Ehegatten"; "conjoints"); se il legislatore intendeva veramente parificare le persone divorziate a quelle coniugate, non avrebbe mancato di farlo espressamente.
Ora, non vi è di massima - fatti salvi ovviamente i casi di manifesto abuso di diritto (art. 2 cpv. 2 CC) in cui il divorzio costituisce il semplice pretesto formale per ottimizzare il diritto alle prestazioni delle assicurazioni sociali - serio motivo per trattare differentemente la persona celibe, che può liberamente vivere in rapporto di concubinato senza il rischio di vedersi applicare l'importo destinato alla copertura del fabbisogno generale vitale per coniugi (art. 10 cpv. 1 lett. a n. 2 LPC), da chi invece, come persona divorziata, per motivi contingenti continua a vivere in comunione domestica senza però necessariamente avere l'intenzione di fondare una convivenza a carattere esclusivo come può invece essere quella caratterizzante un concubinato; sulla differenza tra comunione domestica e convivenza in senso stretto cfr. DTF 134 V 369, consid. 7.1 pag. 379 segg.). L'importo destinato alla copertura dei bisogni vitali delle persone sole si applica di conseguenza indistintamente alle persone celibi, vedove o divorziate.
Una diversa valutazione si giustificherebbe nel caso di specie unicamente se la richiesta del ricorrente configurasse gli estremi di un manifesto abuso di diritto ai sensi dell'art. 2 cpv. 2 CC.
Data modifica: 15/07/2011