Caso 344 del 16/11/2014
A quali condizioni un contributo alimentare a favore del coniuge previsto in una convenzione di divorzio, insufficiente a coprire il fabbisogno minimo del coniuge creditore, può essere omologato con la sentenza di divorzio?
In una sentenza del 5 agosto 2014 il Tribunale federale ha stabilito quanto segue:
una delle condizioni per omologare una convenzione di divorzio è che la stessa non sia manifestamente inadeguata (art. 279 cpv. 1 CPC). La convenzione è ritenuta manifestamente inadeguata se non rispetta la regolamentazione legale senza giustificazioni dettate da motivi di equità. La libertà contrattuale implica tuttavia che solo una convenzione "leonina" o che priva in modo rilevante dei beni non debba essere omologata. Qualora il contributo di mantenimento muliebre non copra il fabbisogno minimo e il coniuge creditore tragga un vantaggio economico da ciò, se il matrimonio non ha concretamente migliorato la situazione finanziaria della moglie la quale, anzi, durante il matrimonio ha mantenuto il marito in formazione, la sua rinuncia agli alimenti non può essere considerata manifestamente inadeguata.
Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni
I coniugi si sono sposati il 22 marzo 1996; il medesimo anno dalla loro unione è nato un figlio, oggi ormai maggiorenne; vivono separati di fatto dal 12 marzo 2008. L'8 maggio 2012 il marito ha inoltrato una procedura unilaterale di divorzio. All'udienza del 4 febbraio 2013 le parti si sono accordate per il divorzio e hanno chiesto l'omologazione della convenzione sulle le relative conseguenze accessorie. La convenzione prevede tra i vari punti un obbligo contributivo del marito a favore della moglie di CHF 1'000.00 dal 1° marzo al 31 dicembre 2013 e in seguito di CHF 800.00 fino al 30 giugno 2014. La convenzione è stata omologata dal giudice del divorzio. Contro tale decisione ha ricorso la moglie dapprima in appello e in seguito al Tribunale federale. Entrambi i ricorsi sono stati respinti.
L'art. 279 CPC, che riprende in sostanza il vecchio art. 140 CC, prevede in particolare che il giudice omologa la convenzione sulle conseguenze del divorzio quando si sia convinto che i coniugi l'abbiano conclusa di loro libera volontà e dopo matura riflessione e che la medesima sia chiara, completa e non manifestamente inadeguata. Come rammentato nel caso 134 le condizioni contenute in questa norma sono cinque: a) la matura riflessione dei coniugi, b) la loro libera volontà, c) la chiarezza della convenzione, d) la sua completezza e che e) la stessa non sia manifestamente inadeguata. L'omologazione della convenzione può essere impugnata per violazione dell'art. 279 cpv. 1 CPC e non solo per vizi del consenso, come è il per contro caso per la decisione sulla pronuncia del divorzio stesso (art. 289 CPC) (cfr. sentenza TF 5A_187/2013 del 4 ottobre 2013; Denis Tappy, in Code de procédure civile commenté, Basilea 2011, N. 15-16 ad art. 289 CPC).
Una delle condizioni da esaminare da parte del giudice si riferisce al fatto che la convenzione non deve risultare manifestamente inadeguata. La ricorrente sostiene a tal proposito che non percepisce alcuna entrata, salvo le prestazioni assistenziali, ed ha un ammanco di CHF 2'921.00 mensili, mentre il marito, che ha un reddito di CHF 8'700.00 mensili, ha una disponibilità, dedotto il suo fabbisogno, di CHF 2'395.00 mensili: tra i due coniugi risulta dunque una grande disparità finanziaria.
Per valutare se una convenzione di divorzio non sia "manifestamente inadeguata" occorre paragonarla al giudizio che sarebbe stato reso dal giudice senza l'accordo. Se la soluzione adottata in convenzione presenta una differenza immediatamente riconoscibile rispetto ad un'eventuale decisione giudiziaria e che si discosta dalla regolamentazione legale senza che sia giustificato da considerazioni di equità, allora deve essere qualificata come "manifestamente inadeguata" (cfr. anche sentenze TF 5C.163/2006, consid. 4.1 del 3 novembre 2006 e 5C.270/2004 consid. 5.4.2 del 14 luglio 2005). Come per la lesione (art. 21 CO) occorre una sproporzione manifesta tra ciò che è attribuito a ciascun coniuge; il giudice conserva un ampio margine di apprezzamento (cfr. sentenza TF 5A_599/2007 del 2 ottobre 2008 e caso-228); occorre infatti evitare la ratifica di convenzioni "leonine" o che privano in modo rilevante dei beni. Solo una differenza importante rispetto alla soluzione legale può portare il giudice a rifiutare l'omologazione della convenzione.
Nel caso concreto gli esigui contributi alimentari previsti nella convenzione a favore della moglie non permettono la copertura del suo fabbisogno minimo. La convenzione non può tuttavia essere qualificata come "manifestamente inadeguata", dato che il principio stesso del versamento di un contributo alimentare poteva essere oggetto di discussione. La moglie ha lavorato per quasi tutto il matrimonio, che risale al 1996, in qualità di laboratorista medico; solo nel 2006, quando ha perso il lavoro per motivi di ristrutturazione del datore di lavoro, ha cessato di esercitare un'attività lavorativa. Durante il matrimonio ha anche mantenuto il marito per svariati anni e gli ha finanziato una formazione professionale. L'accordo sul riparto dei ruoli dei coniugi non prevedeva che la moglie sarebbe stata a casa a prendersi cura del figlio e che il marito avrebbe garantito il mantenimento della famiglia. A queste condizioni non si può ritenere che il matrimonio abbia influito concretamente sulla situazione della moglie, nel senso che al momento della separazione di fatto, nel marzo 2008 - o almeno al termine della sua formazione nello sviluppo duraturo, che doveva terminare nell'autunno 2008 - non sarebbe stata in grado di ritrovare un'attività lavorativa che le permettesse di far fronte ai suoi bisogni.
Ammettendo che un contributo di mantenimento nel principio fosse dovuto, avrebbe potuto esserle concesso per una durata più lunga. La moglie ha tuttavia ottenuto in convenzione un contributo alimentare limitato nel tempo. La transazione ha lo scopo di mettere fine definitivamente al litigio e alle incertezze prevedendo delle concessioni reciproche (v. anche caso 334), ciò che è avvenuto nel caso concreto. L'ottenimento di un contributo alimentare fino al pensionamento non era una ipotesi scontata, tanto che una convenzione che preveda un contributo alimentare per una durata ridotta possa essere considerata manifestamente inadeguata, dal momento in cui si poteva prendere in considerazione che a termine la moglie potesse trovare un'attività che le permettesse di rendersi autonoma economicamente.
La ricorrente ha eccepito il fatto che le sue future prospettive di lavoro sono esigue, ma d'altra parte non ha sostenuto che il matrimonio fosse "lebensprägend". Eccezionalmente la fiducia di un coniuge, creata dall'altro, sulla continuazione del matrimonio e il mantenimento del riparto dei ruoli può essere tutelato anche nei casi in cui il matrimonio non ha avuto un impatto decisivo sulla capacità di guadagno dell'interessato (cfr. sentenza TF 5A_275/2009 consid. 2.2.2 del 25 novembre 2009 e sentenza TF 5C.169/2006 consid. 2.6 del 13 settembre 2006), ma nel caso concreto non vi è nessuna constatazione che giustifichi una tale eccezione (cfr. DTF 135 III 59, consid. 4.1).
Ora, in conclusione vale dunque la pena di evidenziare che anche nel caso in cui si sia in presenza di un matrimonio di lunga durata (in casu la vita comune è durata 12 anni) e un coniuge si trovi in assistenza, non necessariamente si giustifica prevedere un contributo di mantenimento duraturo a suo favore. Ancora una volta tutte le circostanze concrete del caso vanno accuratamente esaminate.
Data modifica: 16/11/2014