Ditta individuale del marito – investimenti e compenso variabile

Caso 317 del 16/09/2013

Se il marito è proprietario di un bene proprio (ereditato) da lui ampliato con redditi aziendali, esiste un diritto al compenso della massa degli acquisti del marito verso la massa dei beni propri del marito stesso?

In una sentenza del del 31 luglio 2012 il Tribunale d'appello di Lugano ha stabilito quanto segue:

Per consolidata giurisprudenza i beni che compongono un'azienda (ancorché individuale) devono essere considerati nel loro insieme, per lo meno ove costituiscano un'unità economica. Un eventuale plus­valore della ditta di un coniuge (quale bene proprio) generato dall'attività lavorativa di lui dopo il matrimonio (acquisto) dà luogo, per principio, a un diritto al compenso fra masse giusta l'art. 209 cpv. 3 CC, per lo meno nella misura in cui l'attività del coniuge non sia stata altrimenti retribuita.

Sentenza I CCA 11.2009.88


Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni


Riprendo qui di seguito i punti essenziali della sentenza.
I coniugi si sono sposati il 27 maggio 1983. Dal matrimonio sono nati quattro figli. Il marito è titolare di un'omonima ditta individuale di falegnameria e carpenteria, da lui ricevuta quale anticipo ereditario dal padre.
I coniugi si sono separati di fatto nel giugno del 2002.
il 7 aprile 2005 il marito ha intentato azione di divorzio.
Con sentenza del 24 aprile 2009 il Pretore ha pronunciato il divorzio e regolamentato le relative conseguenze accessorie.
Il Pretore ha ricordato che l'immobile su cui si trova la falegnameria (la particella n. 259 di XY) è stato acquistato nel 1989 e costituisce pertanto un acquisto, mentre ha qualificato l'azienda come bene proprio del marito, essendo stata ceduta al medesimo dal padre a titolo di anticipo ereditario.
La sentenza è stata impugnata dal marito al Tribunale d'appello.
In appello sussistono in particolare  divergenze sullo scioglimento del regime matrimoniale per quanto riguarda la particella n. 259 RFD di XY e la menzionata ditta individuale del marito.

Per consolidata giurisprudenza i beni che compongono un'azienda (ancorché individuale) devono essere considerati nel loro insieme, per lo meno ove costituiscano un'unità economica (DTF 131 III 561 consid. 2.2, DTF 125 III 5 consid. 4c, DTF 121 III 155 consid. 3c).
Nella fattispecie la particella n. 259 è parte integrante della falegnameria tanto per la contabilità e il bilancio dell'azienda quanto per l'autorità fiscale. Del resto, come risulta dallo studio di fattibilità commissionato in vista dell'investimento, lo stabile è stato eretto proprio per la falegnameria e forma pertanto, anche dal profilo funzionale, un'unità con la ditta.
Nel caso in rassegna il marito ha ricevuto la falegnameria dal padre come anticipo ereditario nei primi anni settanta. L'azienda costituisce un bene proprio del marito (art. 198 n. 2 CC). Il marito ha notevolmente sviluppato durante il matrimonio l'impresa ricevuta dal padre, ma eventuali investi­menti in beni attribuiti a una determinata massa da parte di beni di un'altra massa non modificano l'attribuzione dei pri­mi, quand'anche il valore degli investimenti sia preponderante (DTF 132 III 149 consid. 2.2.3 e riferimenti).
In concreto un eventuale plusvalore dell'azienda generato dall'attività del marito (da considerare quale reddito del lavoro a norma dell'art. 197 cpv. 2 n. 1 CC, ovvero un acquisto) o riconducibile all'acquisizione e all'edificazione della particella n. 259 (finanziata anche da acquisti) non modifica l'attribuzione dell'impresa alla categoria dei beni propri.
Un eventuale plus­valore della ditta del marito generato dall'attività lavorativa di lui dopo il matrimonio dà luogo, per principio, a un diritto al compenso fra masse giusta l'art. 209 cpv. 3 CC, per lo meno nella misura in cui l'attività del coniuge non sia stata altrimenti retribuita (cfr. DTF 131 III 559; v. anche caso-146). Un simile diritto è dato anche in caso di investimenti finanziati dalla massa degli acquisti – in concreto l'acquisizione e l'edificazione della particella n. 259 – nell'azienda attribuita alla massa dei beni propri (DTF 132 III 149 consid. 2.2.2). Per determinare la portata di tale diritto occorre conoscere tuttavia – data la natura proporzionale del compenso – non solo l'ammontare del contributo di una massa all'altra, ma anche il valore del bene al momento dell'investimento e al momento della liquidazione del regime matrimoniale. Addurre (e dimostrare) tali dati incombe al coniuge che avanza la pretesa. Ove si conosca l'ammontare dell'investimento, ma non il valore del bene al momento dell'investimento o della liquidazione del regime matrimoniale, il diritto al compenso non può essere definito e va respinto (RtiD I-2005 sentenza 36c, pag. 752 consid. 3d con rimandi).
Nel caso concreto, per quanto riguarda l'ammontare dell'apporto fornito dalla massa degli acquisti (del marito) alla massa dei beni propri (del marito), gli atti non consentono di determinare se e in che misura il lavoro dell'appellante abbia influito sul valore dell'azienda. Ove si consideri in ogni modo che l'attività di lui era retribuita dal­l'utile aziendale costituito da prelevamenti di carattere privato, oltre che da vantaggi privati indiretti a destinazione della famiglia, nulla induce a presumere che il lavoro nella ditta non sia stato adeguatamente rimunerato (v. sopra; in particolare: DTF 131 III 559).
Le cose stanno altrimenti quanto all'acquisizione e all'edificazione della particella n. 259. Il marito medesimo ha indicato che l'investimento per la costruzione dello stabile, dedotto i sussidi, è ammontato a fr. 1 771 300.–  ed è stato finanziato da “ipoteca + reddito azienda + ‘nero’” . L'ipoteca di fr. 1 200 000.– è sicuramente da attribuire alla massa dei beni propri, essendo connessa all'immobile, parte integrante della ditta (art. 209 cpv. 2 CC). L'investimento residuo di fr. 571 300.– si deve invece alla massa degli acquisti, poiché proviene da reddito aziendale (il reddito di beni propri costituisce un acquisto: art. 197 cv. 2 n. 4 CC) e sarebbe ugualmente tale, in mancanza di prova contraria, conformemente alla presunzione dell'art. 200 cpv. 3 CC.
Lo stabile sulla particella n. 259 è stato ultimato nel 1998 e dalla perizia esperita si evince che nel 1997 il capitale dell'azien­da era di CHF 692'467.00. Aven­do fornito un contributo di CHF 571'300.00 al bene proprio, pari al 45.2% dell'investimento complessivo (CHF 571'300.00 più CHF 692'467.00), la massa degli acquisti del marito ha diritto a un compenso proporzionale verso la massa dei beni propri del marito stesso. Commisurato al valore dell'azienda alla liquidazione del regime matrimoniale, tale compenso risulta di CHF 81'437.00 (45.2% di CHF 180'171.00). Ne segue che l'ammontare complessivo degli acquisti va quantificato in CHF 1'344'134.15 e la quota spettante a ciascun coniuge a CHF 672'067.00.


Data modifica: 16/09/2013

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