Impugnazione di una convenzione di divorzio per vizi di volontà

Caso 334 del 01/06/2014

L'omologazione di una convenzione sulle conseguenze accessorie al divorzio può essere impugnata per violazione dell'art. 279 cpv. 1 CPC o per l'esistenza di vizi di volontà?

In una sentenza del 4 ottobre 2013 il Tribunale federale di Losanna ha stabilito quanto segue:

L'omologazione di una convenzione sulle conseguenze accessorie al divorzio può essere impugnata in appello per violazione dell'art. 279 cpv. 1 CPC o per l'esistenza di vizi di volontà. Nell'ambito delle transazioni, gli artt. 23 e segg. CO sono applicabili in modo restrittivo. Nell'ambito della conclusione di transazioni si deve tener conto delle incertezze determinate dalle concessioni reciproche tese a mettere fine alla controversia senza dover chiarire tutti i dettagli. Per questo motivo non è ammissibile l'invocazione di un errore se il medesimo concerne un'incertezza considerata nella transazione.

Sentenza TF 5A_187/2013


Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni


Il matrimonio è stato celebrato il 14 dicembre 1991. In data 4 settembre 2012 i coniugi hanno inoltrato una procedura di divorzio con accordo completo. Il 6 settembre 2012 vi è stata l'udienza di divorzio, durante la quale i coniugi sono stati ascoltati, e il 4 ottobre 2012 il Tribunale ha emanato la sentenza di divorzio, omologando la relativa convenzione sulle conseguenze accessorie sottoscritta dai coniugi il 4 settembre 2012.
La moglie in data 2 novembre 2012 ha presentato ricorso in appello, sostenendo di aver scoperto a metà ottobre 2012 che il marito le aveva nascosto l'esistenza di conti bancari, chiedendo l'annullamento di una clausola (quella relativa alla liquidazione del regime matrimoniale), sostenendo che la convenzione fosse viziata.
Con decisione del 7 febbraio 2013 il Tribunale d'appello ha respinto il ricorso.
Con ricorso in materia civile, in data 11 marzo 2013 la moglie ha impugnato tale decisione. Il ricorso è stato respinto dal Tribunale federale.

Ricordiamo innanzi tutto che nel caso 227 il Tribunale d'appello di Lugano aveva lasciato indecisa la questione a sapere quali siano le censure che possano essere sollevate in appello contro gli effetti accessori al divorzio, segnatamente se solo i vizi della volontà o anche la violazione di nor­me federali di procedura, se senza particolari restrizioni o se ancora tenuto conto di eventuali limitazioni dalla procedura, allora ancora cantonale.

Giusta l'art. 279 cpv. 1, prima frase, CPC il giudice omologa la convenzione sulle conseguenze del divorzio quando si sia convinto che i coniugi l'abbiano conclusa di loro libera volontà e dopo matura riflessione e che la medesima sia chiara, completa e non manifestamente inadeguata. L'omologazione sottostà dunque a cinque condizioni: a) la matura riflessione dei coniugi, b) la loro libera volontà, c) la chiarezza della convenzione, d) la sua completezza e che e) la stessa non sia manifestamente inadeguata.
L'omologazione della convenzione può essere impugnata per violazione dell'art. 279 cpv. 1 CPC e non solo per vizi del consenso, come è il per contro caso per la decisione sulla pronuncia del divorzio stesso (art. 289 CPC).
Prima di omologare una convenzione il giudice deve in particolare assicurarsi che i coniugi l'abbiano sottoscritta in piena libertà (art. 279 cpv. 1 CPC); questa condizione presuppone che i coniugi non abbiano concluso la convenzione sotto l'effetto di un errore (art. 23 e segg. CO), di un dolo (art. 28 CO) o di minaccia (art. 29 e segg. CO), senza tuttavia che il giudice sia chiamato a ricercare vizi del contratto nascosti. Se una parte sostiene che la convenzione è viziata da un vizio del consenso, dovrà portarne la prova (art. 8 CC; DTF 97 II 339, consid. 1b). Se viene invocato l'errore, lo stesso deve essere essenziale (art. 23 CO).
Nell'ambito di transazioni giudiziarie e extragiudiziarie, di cui fanno parte le convenzioni sulle conseguenze accessorie al divorzio, gli art. 23 e segg. CO si applicano con riserva. La transazione ha lo scopo di mettere fine definitivamente alla controversia e alle incertezze esistenti per il tramite di concessioni reciproche. E' specificatamente conclusa per evitare un esame completo dei fatti e della loro portata giuridica. Per cui un errore su un aspetto dubbioso che è stato, per volontà delle parti, regolato definitivamente con la transazione, non può essere preso in considerazione. In ragione della natura della transazione, una contestazione ulteriore per errore sui punti controversi e incerti al momento della conclusione è esclusa se questi sono emersi successivamente, altrimenti si potrebbe rimettere in discussione le questioni che avevano determinato gli interessati a transigere (DTF 54 II 188, consid. 2).
Nel caso di convenzioni regolanti le conseguenze accessorie al divorzio, il Tribunale federale ha spiegato che l'errore relativamente alla convenzione deve essere ritenuto tale solo se le parti si sono fondate su una fattispecie determinata che si è rivelata successivamente inesatta o quando una parte ha ritenuto per errore, conosciuto all'altra parte, un determinato fatto come stabilito. L'errore deve sempre riferirsi ad un fatto che le parti consideravano come dato. Per contro un errore su un punto oggetto della transazione , vale a dire l'errore sull'oggetto stesso della transazione, non può essere invocato.

Nel caso concreto la transazione è stata conclusa precisamente per regolamentare una questione incerta, sia per la situazione di fatto, sia per l'applicazione del diritto. Dato che la transazione aveva lo scopo di rinunciare a risolvere la questione evocata, ciò non può portare all'annullamento della transazione (DTF 117 II 218, consid. 3a). La moglie si avvale dell'errore indicando tra l'altro che da documenti successivamente ritrovati si evincerebbe che il marito era o poteva essere titolare di conti in Svizzera e all'estero. Il Tribunale federale ha spiegato che ciò non è pertinente per la risoluzione della vertenza (art. 97 cpv. 1 LTF), siccome la transazione che i coniugi hanno concluso ha lo scopo di mettere fine alla controversia e alle incertezze esistenti con delle concessioni reciproche. L'errore può solo portare su un fatto che le parti ritenevano come assodato. Se per contro, come nel caso concreto, hanno rinunciato ad esperire un inventario dettagliato della sostanza di cui ciascun coniuge è titolare, se non hanno neppure ritenuto necessario allegare durante la procedura gli elementi della sostanza e che hanno stabilito un certo importo a favore della moglie, dopo aver deciso di attribuire alla figlia un appartamento, con diritto di abitazione a favore della moglie e l'assegnazione a lei della piena proprietà dei mobili, non vi è più spazio per invocare l'errore su degli elementi di sostanza che non erano stati presi in considerazione.


Data modifica: 01/06/2014

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