Liquidazione a scopo di previdenza dopo il divorzio – secondo pilastro e separazione dei beni

Caso 84 del 30/06/2003

Se il marito a seguito della sua attività lavorativa quale indipendente non si è costituito un secondo pilastro e tra i coniugi vige il regime della separazione dei beni, si può pretendere che al momento del divorzio egli versi comunque un contributo o un capitale alla moglie per la di lei previdenza professionale?

In una sentenza del 1° aprile 2003 il Tribunale federale di Losanna ha stabilito quanto segue:

L’art. 125 CC permette di compensare le lacune previdenziali del coniuge creditore con il versamento di una rendita o di un capitale, se queste lacune non possono essere colmate con la divisione del secondo pilastro o con la divisione del patrimonio accumulato per la futura previdenza nell’ambito della liquidazione del regime matrimoniale.


Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni


Nella fattispecie trattata, siamo in presenza di un marito che a seguito della sua attività lavorativa da libero professionista ha accumulato un ridotto importo di secondo pilastro (per lui non obbligatorio, siccome indipendente) ed ha accumulato i suoi averi per la futura pensione mediante risparmi dell'attività lavorativa.
In queste circostanze, applicando strettamente l'art. 122 CC, quale capitale previdenziale in caso di divorzio alla moglie spetterebbe solo la metà dell'esiguo secondo pilastro del marito. Nel caso concreto per di più tra i coniugi vige il regime della separazione dei beni, per cui tutti i capitali accumulati dal marito, compresi quelli che aveva risparmiato per quando avrebbe cessato l'attività lavorativa, non sarebbero da dividere, ma sempre in caso di divorzio sarebbero integralmente di proprietà del marito.
Tuttavia la legge prevede dei correttivi all'applicazione dell'art. 122 CC, correttivi che troviamo agli art. 123 CC e 124 CC. Ma questi articoli si applicano esclusivamente alle pretese di II° pilastro, mentre non regolano né il I° pilastro, né il III° pilastro. La divisione del I° pilastro è infatti trattata dall'AVS/AI direttamente, mentre il III° pilastro (libero o vincolato poco importa) fa parte delle pretese di liquidazione del regime matrimoniale.
Se, come dice il Tribunale federale, il coniuge debitore non ha alcun secondo pilastro (o è ridotto) e vige la separazione dei beni, il coniuge creditore rischia fortemente di trovarsi dinanzi ad una lacuna previdenziale.
In questi casi al coniuge creditore viene in soccorso l'art. 125 CC; se la lacuna previdenziale ha la propria origine nella ripartizione dei ruoli avuta dai coniugi durante il matrimonio (segnatamente la moglie casalinga e il marito che esercita un'attività lavorativa) la ricostituzione di una previdenza vecchiaia adeguata a favore del coniuge creditore dev'essere considerata una componente del debito mantenimento e può dunque dar luogo ad un contributo fondato sull'art. 125 CC, a meno che non ci si possa attendere che il coniuge creditore dopo il divorzio sia in grado di ricostituirsi autonomamente tale previdenza.
Nel caso concreto il Tribunale federale ha ammesso la possibilità di obbligare il marito a pagare alla moglie (ancorché giovane e abile al lavoro) un captale secondo l'art. 126 cpv. 2 CC che possa permettere alla medesima di costituirsi subito dopo il divorzio una previdenza indipendente dal marito.

Colgo l'occasione per segnalare anche la sentenza pubblicata in DTF 129 III 7, laddove il Tribunale federale ha obbligato il marito a versare alla moglie una rendita vita natural durante per colmare la di lei lacuna pensionistica, obbligandolo tra l'altro ad intaccare la propria sostanza.

* Sentenza pubblicata in FAMPRA 3/2003, pag. 685; sentenza DTF 129 III 257, che si trova pure in SJ 24/I 2003, pag. 353.


Data modifica: 30/06/2003

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