Caso 47 del 14/11/2001
Quale valore giuridico ha un certificato medico attestante una non meglio definita “malattia”? Se a una madre sono stati affidati i figli minorenni, si può obbligarla ad intraprendere un’attività lavorativa?
In una decisione del 3 agosto 2001*, il Tribunale d’appello di Lugano ha stabilito quanto segue:
Un certificato medico che menziona un non meglio definito stato di “malattia” non ha nessun valore neppure nella procedura sommaria di protezione dell’unione coniugale.
Con una eccedenza di fr. circa fr. 800.– mensili ed un figlio affidatole di un’età inferiore ai 16 anni ad una madre non può essere imposto di intraprendere un’attività a tempo pieno.
Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni
Innanzi tutto val la pena di spendere qualche parola in merito ai certificati medici che di frequente sono prodotti in causa per provare lo stato di salute di una o dell'altra parte. Il Tribunale d'appello ha ritenuto che anche in una procedura sommaria, ossia basata sulla mera verosimiglianza, non possa essere considerata prova un certificato medico attestante che vi è un'incapacità lavorativa "causa malattia", senza che non sia neppure spiegato di cosa si tratti.
Ciò non significa che un certificato medico, nella procedura sommaria (essenzialmente nella procedura di protezione dell'unione coniugale e di misure provvisionali) non abbia alcun valore probatorio, ma per poter avere una minima portata giuridica dovrà essere menzionato il tipo di malattia, l'incapacità lavorativa che ne deriva, oltre ad eventuali altri dati utili quali la diagnosi, la durata probabile dell'incapacità lavorativa, ecc.
Va poi evidenziato che in ogni caso appare sempre utile sentire in causa il medico che ha stilato il certificato, in modo da chiarire tutte le conseguenze giuridiche della malattia. Per inciso evidenzio ancora come nella procedura di merito il certificato medico da solo non sia un sufficiente mezzo probatorio.
Per quanto concerne l'obbligo di lavorare della moglie, ossia il coniuge che di regola è finanziariamente più debole, il Tribunale d'appello ha rivolto una particolare attenzione al caso in cui il coniuge affidatario debba prestare cura ed educazione ad un figlio di meno di 16 anni.
Va detto in effetti che molti principi della vecchia giurisprudenza sono stati rimessi in discussione dal nuovo diritto, segnatamente a seguito dell'introduzione del principio del clean break; in particolare l'età di 45 anni della moglie, dopo la quale, se adempiute certe condizioni, non la si poteva obbligare ad iniziare o estendere un'attività lavorativa (cfr. DTF 115 II 11), non è più un limite assoluto (e la sentenza pubblicata in DTF 127 III 139 né è una delle dimostrazioni).
Ricordiamo che la giurisprudenza emanata sotto l'egida del vecchio diritto prevedeva anche che, sempre a determinate condizioni, si poteva pretendere dal coniuge affidatario lo svolgimento di un'attività lavorativa a metà tempo solo dopo che il figlio più piccolo aveva compiuto 10 anni e a tempo pieno dopo che aveva compiuto 16 anni (cfr. DTF 115 II 10).
Nella sentenza in esame il Tribunale d'appello ha mantenuto una posizione che riprende la giurisprudenza emanata per il vecchio diritto, pretendendo che la moglie, a cui il Giudice ha affidato i figli minori di anni 16, non debba andare a lavorare a tempo pieno, quanto meno se la famiglia dispone di sufficienti risorse economiche, anche in caso di separazione dei coniugi e costituzione di due economie domestiche separate.
Si tratta di una posizione che a mio avviso va ben ponderata, tenendo in considerazione la fattispecie concreta, ossia la durata del matrimonio, lo stato di salute dei coniugi, la loro situazione finanziaria, la formazione professionale, la necessità di cure dei figli, ecc. In ogni caso, se desideriamo concretizzare veramente il principio del clean break del nuovo diritto, ritengo sia opportuno considerare il limite sopra descritto dei 16 anni di età del figlio solo e solamente se sarà dimostrato che il medesimo necessita effettivamente di attenzioni tali da non permettere alla madre di assumere un'attività a tempo pieno. In altre parole, sono dell'avviso che anche tale limite di età vada relativizzato dalla giurisprudenza.
* Sentenza non pubblicata.
Data modifica: 14/11/2001