Procedura di protezione dell’unione coniugale – Obbligo della moglie di lavorare

Caso 56 del 02/04/2002

Nonostante il matrimonio sia di lunga durata e il marito disponga di un buon reddito, tale da poter mantenere la famiglia, in una procedura di protezione dell’unione coniugale il Giudice può costringere la moglie ad intraprendere o estendere un’attività lavorativa?

In una sentenza del 22 gennaio 2002* il Tribunale d’appello di Lugano ha stabilito quanto segue:

Salvo in casi eccezionali, il criterio per la definizione dei “contributi pecuniari” fra coniugi è disciplinato dal diritto federale e ricalca quello che discende dall’art. 137 cpv. 2 CC per le misure provvisionali nelle cause di stato. Il relativo ammontare si calcola quindi in base al riparto dell’eccedenza (comune) – di regola a metà – una volta dedotto dal reddito familiare il fabbisogno dei coniugi e dei figli (cosiddetto “calcolo delle eccedenze”).
Sotto l’egida del vecchio diritto (precedente al 1° gennaio 2000) la Prima Camera Civile del Tribunale d’appello considerava che nei casi di separazione legale per tempo indeterminato occorreva distinguere secondo lo scopo della separazione: dandosi qualche probabilità che i coniugi si riconciliassero, appariva giustificato tutelare il riparto dei ruoli da loro assunto durante il matrimonio; in caso contrario, ove la separazione appariva durevole e sembrava preludere allo scioglimento del matrimonio o perseguire uno scopo analogo a quello del divorzio, la moglie poteva anche essere tenuta ad assumere un altro ruolo (intraprendere o estendere un’attività lavorativa). Tale principio si applica anche alla procedura di protezione dell’unione coniugale.


Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni


Dalla sentenza del Tribunale d'appello sopra citata, si legge anche come il Tribunale federale ha precisato che in caso di separazione un coniuge può essere tenuto - secondo le circostanze - a intraprendere un lavoro retribuito se ciò può essergli ragionevolmente imposto e appare possibile dal profilo economico (cfr. sentenza TF 5P.447/2000). Sempre nella medesima sentenza si legge che il Tribunale federale (cfr. sentenza 5P.169/2001) ha ricordato che nell'ambito delle misure di protezione dell'unione coniugale la ripresa o l'estensione di un'attività lucrativa va imposta solo con riserbo al coniuge che durante la vita comune si è occupato dell'economia domestica.
Nella sentenza 5P.312/2001/sch (oggetto del caso-049) il Tribunale federale ha confermato il criterio secondo cui in caso di separazione di fatto che si ipotizza essere di lunga durata, al coniuge più debole finanziariamente - di regola la moglie - possa essere imposto di estendere la propria attività lavorativa, anche se durante la vita comune la ripartizione dei ruoli voluta dai coniugi era differente.
Nel caso oggetto del presente commento le parti vivono separate da quasi due anni e niente lascia intravedere una possibile riconciliazione. Tutti i figli sono ormai maggiorenni. La moglie guadagna circa fr. 1'800.-- mensili a tempo parziale; il marito guadagna circa fr. 20'000.-- mensili.
Considerato che la moglie ha 48 anni, ha una formazione di tipo liceale, ha acquisito un'esperienza professionale di circa 6 anni di attività, non deve più prendersi cura dei figli (divenuti ormai tutti maggiorenni), non ha problemi di salute e lavora in una ditta appartenente alla propria famiglia (con possibilità concrete di poter lavorare di più), il Tribunale d'appello le ha assegnato un termine di un anno per estendere la propria attività lavorativa al 100% e ciò nonostante il buon reddito del marito, che non le imporrebbe certo di dover estendere la propria attività lavorativa per poter far fronte alle proprie spese.
E' interessante notare come il Tribunale d'appello si sia mostrato comunque cauto nell'obbligare la moglie ad estendere la propria attività lavorativa, facendo riferimento al suo futuro professionale nella ditta in cui oggi lavora e non altrove o in altre attività. Su questo argomento - da porre in correlazione con la durata del matrimonio - si rimanda anche all'articolo della prassi giudiziaria apparso sul presente sito (Pretura-005).
Ciò su cui - a mio giudizio - ci si dovrebbe pure chinare maggiormente è il quesito a sapere se anche nell'ambito delle misure di protezione dell'unione coniugale non sia opportuno derogare al principio del calcolo delle eccedenze, laddove la separazione appare durevole e sembra preludere allo scioglimento del matrimonio o perseguire uno scopo analogo a quello del divorzio.

Per maggiori indicazioni cfr. anche caso-148

* Sentenza non pubblicata.


Data modifica: 02/04/2002

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