Caso 360 del 16/07/2015
Il reddito imputabile ad un coniuge creditore riconosciuto parzialmente invalido corrisponde alla capacità lucrativa residua accertata dall’Assicurazione Invalidità?
In una sentenza del 19 agosto 2014 il Tribunale d'appello di Lugano ha stabilito quanto segue:
Il reddito imputabile a un coniuge creditore riconosciuto parzialmente invalido non corrisponde necessariamente alla capacità lucrativa residua accertata dall’Assicurazione Invalidità, che ha carattere teorico.
Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni
I coniugi, rispettivamente del 1958 (il marito) e del 1965 (la moglie), si sono sposati il 22 giugno 1993. Dal matrimonio sono nati due figli, il 2 luglio 1993 e il 12 dicembre 2000. In seguito a un incidente della circolazione avvenuto nel 2002 il marito è rimasto invalido al 70% e percepisce prestazioni di invalidità. La moglie è anch'essa invalida (65%) a causa del citato infortunio e riceve rendite di invalidità. Da allora essa non esercita più alcuna attività lucrativa.
I coniugi si sono separati nell'agosto del 2011.
Il 14 ottobre 2011 la moglie si è rivolta al Pretore con un'istanza a protezione dell'unione coniugale.
Statuendo il 15 maggio 2012, il Pretore ha tra l'altro fissato un contributo alimentare indicizzato per la moglie dal 1° novembre 2011.
Contro la decisione appena citata il marito è insorto al Tribunale d'appello per ottenere la riduzione del contributo alimentare per la moglie.
Nella fattispecie la moglie risulta avere lavorato regolarmente come cameriera sin nel 1989 anche dopo il matrimonio (benché non sia chiaro con quale grado d'occupazione), da ultimo coadiuvando il marito, gestore dell'osteria situata nello stabile in cui si trovava l'abitazione familiare. Sta di fatto che dopo il 2003, in esito al citato infortunio stradale del 17 agosto 2002 che ha visto coinvolto anche il marito, essa non ha più svolto alcuna attività lucrativa. Già precedentemente inabile al lavoro, la moglie è stata riconosciuta invalida al 65% dal luglio del 2004.
Tutto quanto si può esigere da lei sarebbe quindi – secondo il marito – un'attività al 35% compatibile con le sue capacità e possibilità.
Se è vero che l'Assicurazione Invalidità ha valutato il grado d'incapacità lucrativa della moglie nel 65%, non si deve dimenticare nemmeno, però, che secondo l'art. 16 LPGA (Legge federale sulla parte generale del diritto delle assicurazioni sociali) il grado d'invalidità prescinde dalla concreta situazione dell'impiego sul mercato del lavoro (DTF 134 V 71 consid. 4.2.1). Sapere se una persona invalida sia concretamente collocabile compete all'assicurazione contro la disoccupazione. L'Assicurazione Invalidità esamina solo se quella persona sia in grado di sfruttare economicamente la propria forza lavoro residua in un mercato (astratto) nel quale vi sia corrispondenza tra posti disponibili e offerta d'impiego. I criteri per la definizione di un reddito ipotetico sono altri.
Nel caso concreto non si deve trascurare che al momento della separazione la moglie aveva 45 anni compiuti e che a quell'età un coniuge rimasto lontano per molto tempo dal mondo del lavoro non si presume più potersi reinserire in una professione (DTF 137 III 108 consid. 4.2.2.2 con rinvii). Spettava dunque all'appellante rendere verosimile in che modo la moglie potesse mettere a frutto la sua capacità lucrativa residua nel caso specifico. Occorre indicare quali possibilità d'impiego si prospettino concretamente ad una donna di oltre 45 anni con disturbi psichici che la rendano invalida al 65% (per tacere del fatto che simili turbe sono soggette a recrudescenze). Il marito non ha dimostrato nulla di tutto ciò e pertanto il suo appello è stato respinto.
Data modifica: 27/11/2020