Caso 216 del 03/05/2009
E’ possibile rifiutare il pagamento di un contributo alimentare a favore del coniuge qualora questi abbia commesso un grave reato contro l’obbligato o una persona a lui intimamente legata?
In una sentenza del 12 dicembre 2007*, il Tribunale d’appello di Lugano ha stabilito quanto segue:
Un coniuge che denuncia mendacemente l’altro all’autorità penale, accusandolo di avere perpetrato violenze fisiche sul figlio e che in funzione di ciò fa ridurre dal Giudice civile la durata del diritto di visita, accettando solo a distanza di un anno il ripristino della regolamentazione precedente, commette un “grave reato contro l’obbligato”, suscettibile di giustificare il rifiuto di un contributo alimentare.
Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni
Espongo qui di seguito le considerazioni più importanti del Tribunale d'appello su tale argomento.
Secondo l'art. 125 cpv. 3 n. 3 CC un contributo alimentare risulta manifestamente iniquo, in particolare, ove l'avente diritto abbia commesso “un grave reato contro l'obbligato”. Tale disposizione si ispira alle finalità degli art. 477 n. 1 CC in materia di diseredazione e art. 249 n. 1 CO in materia di ripetizione di beni donati (Gloor/Spycher: Basler Kommentar, ZGB I, 3ª edizione, n. 40 ad art. 125). Determinante è la gravità concreta dell'infrazione, non la designazione giuridica astratta dell'illecito quale crimine o delitto (art. 10 cpv. 2 e art. 3 CP). Sicuramente gravi sono crimini o delitti intenzionali contro la vita e l'integrità fisica o sessuale, come pure contro il patrimonio (Schwenzer in: FamKommentar, Berna 2005, n. 96 ad art. 125 CC). Anche la calunnia può definirsi, dandosi il caso, un grave reato (Steinauer, Le droit des successions, Berna 2006, pag. 207 n. 379c; Guinand/Stettler/ Leuba, Droit des successions, 6ª edizione, pag. 89 n. 174). L'art. 125 cpv. 3 CC va, in ogni modo, applicato con cautela (DTF 127 III 65 consid. 2a, pag. 66).
Nel caso concreto nel maggio del 2000 la moglie ha denunciato mendacemente il marito per lesioni semplici, accusandolo di avere picchiato il figlio con tanta violenza da provocarne il ricovero all'Ospedale e la frattura di tutt'e due le gambe. Sulla scorta della medesima falsità essa ha poi chiesto al Pretore la sospensione del diritto di visita tra padre e figlio, inducendo il Pretore a decretare un diritto di visita sorvegliato, della frequenza di una volta la settimana, per un'ora e mezzo. Solo un anno dopo la moglie ha consentito a ripristinare l'assetto libero degli incontri, quando ormai ciò appariva ineluttabile (in un referto il medico ha escluso l'esistenza di motivi per limitare le visite). Con il suo disegno malizioso la moglie è riuscita così a mortificare per un anno il marito nei suoi affetti più cari, limitandogli sempre per un anno i suoi incontri con il figlio.
Si è trattata di una manovra ideata e condotta con determinazione, ove si consideri che la moglie ha segnalato gli stessi fatti all'Unità di intervento regionale, preposta a soccorrere le vittime di reati, e sulla base di un'attestazione rilasciata da un assistente sociale di tale servizio, ha chiesto al Pretore l'immediata sospensione del diritto di visita.
Dato tale agire, il Tribunale d'appello ha considerato che la moglie non potesse quindi pretendere di colpire nell'intimo il marito con mezzi sleali e pretendere poi un contributo alimentare post divorzio.
Il Tribunale d'appello ha poi precisato che del comportamento della madre non può, ad ogni buon conto, essere chiamato a risentire il figlio. In effetti, essendo la moglie tenuta a sostentare sé medesima con un'attività a tempo pieno, non può provvedere alla cura e all'educazione del minorenne che si potrebbe ragionevolmente esigere in natura da una madre dispensata – parzialmente o totalmente – dall'esercizio di un'attività lucrativa. La posta per cura e educazione del figlio correlata alle raccomandazioni pubblicate dall'Ufficio della gioventù e dell'orientamento professionale del Canton Zurigo è stata pertanto inserita nel fabbisogno in denaro del figlio, alimento questo assunto dal padre.
* Sentenza reperibile sul sito internet del Tribunale d'appello di Lugano: I CCA 11.2006.18; v. anche RTiD II 2008, N. 21c.
Data modifica: 03/05/2009