Autore: Francesco Trezzini
Pubblicazione: www.divorzio.ch
Il nuovo diritto del divorzio e della separazione codifica il principio dell’audizione dei figli minorenni da parte del giudice o di un suo consulente. L’art. 144 CC prevede infatti che il giudice del divorzio o un consulente da lui designato senta personalmente i figli minorenni, in modo appropriato, a meno che la loro età o altri motivi gravi vi si oppongano.
Ciò significa che i figli vanno sempre sentiti dal giudice o da un suo consulente, salvo casi eccezionali, sia in caso di divorzio litigioso sia qualora i genitori abbiano raggiunto un accordo.
L’idea alla base di questo postulato è quella di coinvolgere maggiormente i figli nel divorzio o nella separazione dei loro genitori, se vi sono degli aspetti che li riguardano direttamente. Si pensi ad esempio alla questione dell’affidamento, dell’autorità parentale, delle relazioni con il genitore non affidatario, ecc. Nel diritto precedente i figli subivano infatti passivamente le decisioni imposte dal giudice, senza avere la possibilità di dire la loro, mentre oggi hanno finalmente questo spazio aperto. Evidentemente, occorre che essi abbiano raggiunto per lo meno l’età della ragione, per cui – in linea di principio e fatti salvi casi particolari – non appare opportuno sentire dei bambini di età inferiore agli 8 anni, perché la loro immaturità sarebbe tale da rendere l’ascolto privo di senso.
Concretamente, il fine lodevole di porre maggiore attenzione ai minorenni non è sempre di facile attuazione. Si è potuto toccare con mano, in questi primi mesi d’applicazione del nuovo diritto, la diffidenza e – a volte – lo scetticismo dei genitori di coinvolgere i figli nel loro divorzio, soprattutto se questo significa condurli in un’aula giudiziaria, al cospetto del giudice. Ma, in realtà, la legge ed i giudici sono ben coscienti della necessità di tutelare i ragazzi, di non coinvolgerli nel processo dei loro genitori, di non sottoporli a pressioni da parte dell’uno o dell’altra; e, d’altro canto, di evitare che essi acquistino eccessivo peso e potere, tanto da divenire i giudici dei propri genitori e non loro figli.
L’audizione dei figli non è concepita, assolutamente, come un interrogatorio poliziesco, bensì come un momento privilegiato per i ragazzi (e, indirettamente, anche per i genitori), un’oasi dove possano esprimersi liberamente su temi di loro scelta, che siano afferenti o meno alla vertenza giudiziaria dei genitori. In altre parole, al minore non vengono chiesti giudizi sulle scelte e sull’operato del genitori, tanto più se questi hanno trovato un accordo, ma si cerca d’instaurare un contatto dal quale poi individuare eventuali suoi problemi o manifestazioni di disagio, con riguardo alla situazione famigliare che sta vivendo.
Questo modello, che non va mai perso di vista né dai genitori né dal giudice, non è sempre lineare nella pratica concreta e, soprattutto, il giudice non è necessariamente la persona idonea per stabilire quel contatto informale e sereno con i figli, che invece s’impone. Pur con tutta la buona volontà e la sensibilità, il giudice non dispone sempre di un’adeguata formazione e, inoltre, resta legato a quel suo ruolo istituzionale di “colui che decide”, che spesso intimorisce i ragazzi, in particolare quelli in età pre-adolescenziale. Inoltre, la situazione è ben diversa se i genitori hanno raggiunto un accordo per il loro divorzio, rispetto a quelli che invece litigano. Nel primo caso, la scelta dei coniugi per una soluzione pulita, rapida, nell’interesse dei figli, comporta (di regola) un ascolto di questi assai più rilassato rispetto ai casi litigiosi: la confrontazione e il rischio di pressioni è decisamente meno marcato. Per contro, più aumenta il litigio tra i genitori, più la posizione dei figli diviene delicata, per cui l’ascolto può assumere contorni più importanti, essere ad esempio affidato ad uno psicologo, oppure allo stesso perito, svolgersi in più sedute, ecc.
In questi primi mesi d’esperienza è emersa poi una seconda constatazione, degna di nota. L’ascolto del minore non termina necessariamente una volta che il ragazzo è stato congedato dal giudice o dal suo consulente, ma deve trovare un seguito a dipendenza dei desideri e dei sentimenti espressi da quest’ultimo. Si pensi ad esempio al caso dove il ragazzo manifesta il desiderio di vedere maggiormente il padre non affidatario, con il quale desidera svolgere delle attività sportive o manuali. Questo messaggio va, evidentemente, colto e trasmesso ai genitori affinché possano rielaborare il loro accordo su questo punto. Non si tratta più di una questione di ascolto del figlio, ma piuttosto di un lavoro di mediazione che i genitori debbono svolgere tra di loro, se del caso con l’aiuto di un mediatore formato e neutro. Un altro esempio è quello dove il minore desidera mantenere dei contatti talmente intensi con entrambi i genitori da divenire – in diritto – una vera e propria autorità parentale congiunta. Desiderio che, una volta ancora, andrà rielaborato con loro, con un mediatore e, non bastando, con un terapeuta famigliare.
E’ ora ben chiaro che l’ascolto dei minori rappresenta un tassello di un mosaico ben più ampio ed articolato, che coinvolge parecchi operatori, concretizzando quell’idea pluri disciplinare che caratterizza la nuova legge sul divorzio e separazione.
Qui giunti, si pone il quesito a sapere chi e come svolgere questo ascolto dei minorenni.
La pretura di Lugano, stante le implicazioni di quest’ascolto ha ritenuto di dover fare capo, in linea di principio, ad un centro specializzato, del tutto indipendente dalla Pretura e dal pretore e che lavora su mandato di quest’ultimo, con l’auspicio che in quell’ambito possa svolgersi l’ascolto e l’elaborazione di tutto quanto ne segua.
L’idea è dunque di slegare (sempre in linea di principio) questi aspetti dalla figura del giudice, condividendo la responsabilità con altri operatori formati, che non sono il braccio destro del pretore, ma che lavorano in squadra con lui.
I vantaggi sono evidenti. Primo fra tutti la possibilità di sentire i ragazzi lontano dal tribunale, in un luogo neutro e attrezzato convenientemente (ad esempio con giochi, per i più piccolini); di evitare l’incontro a volte traumatico (sia per i genitori, sia per i figli) con il pretore; di colloquiare con una persona formata, che dedica il tempo necessario per svolgere al meglio questo compito (tempo che spesso manca al pretore).
Per quanto attiene infine al come svolgere l’audizione, non vi sono regole precise se non una: fare il possibile affinché si creino nei genitori e nei figli le condizioni favorevoli per svolgere un ascolto positivo.
I genitori svolgono dunque un ruolo centrale. La responsabilità dei figli, insita nel ruolo dei genitori, non viene per nulla meno con il divorzio, che non rappresenta assolutamente una messa sotto tutela. Essi hanno pertanto il dovere, ancora prima del diritto, di conoscere e di partecipare al passo cui viene coinvolto il figlio. E’ dunque pensabile anche ad un incontro preparatorio all’ascolto del figlio con i due genitori e ad un successivo colloquio con gli stessi una volta sentito il minore, onde fare il punto.
Ciò che interessa è, in ultima analisi, che i genitori non subiscano l’ascolto del loro figlio, ma che ne divengano compartecipi, consci che non si tratta di una punizione o di un fastidio per il ragazzo, bensì di un’occasione per migliorare le soluzioni adottate in suo favore per mantenere, anche dopo il divorzio, una buona funzionalità genitoriale.
Avv. Francesco Trezzini