Interazione tra alimenti per i figli e per il coniuge/ex coniuge – periodo transitorio per prevedere l’obbligo di iniziare a lavorare – destino delle risorse economiche supplementari nel caso di cessazione dell’obbligo contributivo per i figli. 

Caso 532 del 01/01/2023

Quale è l’interazione tra l’obbligo contributivo per i figli e quello per il coniuge/ex coniuge? Esiste un termine transitorio per obbligare il coniuge a riprendere un’attività lavorativa? Chi ha il diritto di percepire l’importo supplementare derivante dalla cessazione dell’obbligo contributivo a favore dei figli?

In una sentenza del 28 marzo 2022 il Tribunale federale di Losanna ha stabilito quanto segue:

Soprattutto con il metodo a due fasi con ripartizione delle eccedenze per il calcolo dei contributi di mantenimento esiste una grande interdipendenza tra gli alimenti per il coniuge e quelli per i figli: i risultati ottenuti per gli alimenti per i figli non possono né essere ignorati per gli alimenti coniugali valutati nella stessa decisione, né separati nell’ambito del calcolo complessivo da effettuare. 

Nel valutare la ragionevolezza dell’avvio di un’attività lavorativa dopo la separazione, le norme applicabili agli alimenti post-matrimoniali – e quindi basate sull’idea di automantenimento – devono essere prese in considerazione già nel caso di contributi alimentari tra coniugi basati sull’art. 163 CC, se non è più seriamente prevedibile una ripresa della comunione domestica. Tuttavia, deve essere concesso un periodo transitorio per l’assunzione di un’attività, eventualmente con effetto retroattivo. 

Le ulteriori risorse economiche derivanti dalla cessazione dell’obbligo contributivo per i figli sono da mettere a beneficio del tenore di vita coniugale e ciò significa che il coniuge tenuto agli alimenti non può semplicemente rivendicarli per sé, ma d’altra parte ciò non significa neppure che il reddito disponibile totale debba essere diviso schematicamente a metà. 

Sentenza TF 5A_112/2020


Nota a cura dell'avv. Alberto F. Forni


Le parti si sono sposate il 16 settembre 1994 nei Paesi Bassi. Hanno avuto tre figli, nati rispettivamente nel 1999, nel 2001 e nel 2005. Nell’ambito della procedura di divorzio la moglie ha presentato una domanda di misure cautelari, giudicata dapprima dalle due istanze cantonali ed in seguito dal Tribunale federale. L’oggetto delle procedure è stato in particolare la quantificazione dei contributi alimentari del marito/padre nei conforti della moglie/figli.

Una prima censura ha riguardato l’applicazione del principio dispositivo in relazione agli alimenti per il coniuge. A questo proposito il Tribunale federale ha rammentato che correttamente il tribunale cantonale ha applicato il metodo a due fasi con ripartizione delle eccedenze, che secondo la recente giurisprudenza è l'unico metodo ammissibile non solo per gli alimenti per i figli (DTF 147 III 265, consid. 6.6) ma anche per gli alimenti tra coniugi (DTF 147 III 301, consid. 4.3). Soprattutto con questo metodo, esiste una grande interdipendenza tra gli alimenti per il coniuge e quelli per i figli (DTF 128 III 411, consid. 3.2.1; DTF 132 III 593, consid. 3.2; DTF 147 III 301, consid. 2.2). È vero che le singole categorie di alimenti si basano su norme sostanziali diverse (art. 125 CC per gli alimenti post-matrimoniali, art. 163 CC per gli alimenti coniugali e art. 276 CC per gli alimenti per i figli) e che ad essi si applicano anche massime procedurali diverse (principio dispositivo e attitatorio nel caso degli alimenti post-matrimoniali, art. 58 cpv. 1 CPC e art. 277 cpv. 1 CPC; principio dispositivo e massima inquisitoria sociale nel caso degli alimenti tra coniugi, art. 58 cpv. 1 CPC e art. 271 lett. a CPC in combinato disposto con l'art. 272 CPC e l’art. 276 lett. a CPC; massima ufficiale ed inquisitoria illimitata nel caso di alimenti per i figli, art. 296 cpv. 1 e 3 CPC), tuttavia, dato che nel metodo a due fasi il reddito complessivo dei coniugi/dei genitori deve essere determinato e confrontato con i rispettivi fabbisogni di tutti i membri della famiglia, che sono coperti secondo una certa chiave di ripartizione delle risorse disponibili, i risultati ottenuti per gli alimenti per i figli non possono né essere ignorati per gli alimenti coniugali valutati nella stessa decisione, né separati nell'ambito del calcolo complessivo da effettuare (cfr. DTF 128 III 411, consid. 3.2.2; DTF 147 III 301, consid. 2.2). Tali considerazioni, pur riguardando l'accertamento dei fatti, devono valere mutatis mutandis anche per la sussunzione giuridica che serve a determinare l'importo degli alimenti, in quanto non è oggettivamente possibile per il coniuge/genitore debitore proporre una richiesta contingente di alimenti per il coniuge corrispondentemente più bassa nel caso in cui il giudice conceda alimenti per i figli più elevati in applicazione della massima ufficiale ed inquisitoria illimitata, soprattutto perché non può sapere quali potrebbero essere tali importi più elevati.

Un'altra censura ha riguardato il computo del termine transitorio a partire dal quale si può pretendere che il coniuge economicamente più debole possa essere obbligato a cominciare a svolgere un’attività lavorativa.
Nel valutare la ragionevolezza dell'avvio di un'attività lavorativa dopo la separazione, le norme applicabili agli alimenti post-matrimoniali - e quindi basate sull'idea di automantenimento (art. 125 cpv. 1 CC; DTF 134 III 145, consid. 4; DTF 141 III 465, consid. 3.1; DTF 147 III 249, consid. 3.4.4; DTF 147 III 308, consid. 5.2) - devono essere prese in considerazione già nel caso di contributi alimentari tra coniugi basati sull'art. 163 CC, se non è più seriamente prevedibile una ripresa della comunione domestica (DTF 128 III 65, consid. 4a; DTF 130 III 537, consid. 3.2; DTF 137 III 385, consid. 3.1; DTF 138 III 97, consid. 2.2; DTF 147 III 249, consid. 3.4.4; DTF 147 III 308, consid. 5.2); ciò vale a maggior ragione se non si è nell’ambito di una procedura a misure di protezione dell’unione coniugale, ma di misure cautelari pendenti una procedura di divorzio (sentenza TF 5P.279/2005 del 10 novembre 2005, consid. 5.3.2.1; sentenza TF 5A_848/2010 del 4 aprile 2011, consid. 2.3.1), perché in questo caso la riconciliazione è ancora meno probabile. Tuttavia, deve essere concesso un periodo transitorio per l'assunzione di un’attività, che può e deve essere piuttosto generoso (DTF 144 III 481, consid. 4.6; DTF 147 III 308 consid. 5.4). Inoltre, per quanto riguarda la ragionevolezza, la portata e il periodo di transizione, non è rilevante solo la separazione in quanto tale, ma anche le circostanze concrete, come la durata del matrimonio, la cura dei figli, ecc.
Nel caso concreto non è stata considerata arbitraria la decisione del Tribunale cantonale, laddove alla moglie è stato imposto di intraprendere un'attività lavorativa non solo dal momento della decisione d’appello, ma già dall'agosto 2017 (cfr. analoga situazione iniziale, ossia l'imputazione di un reddito ipotetico da parte del Tribunale cantonale superiore con effetto retroattivo per due anni, cfr. sentenza TF 5A_848/2010 del 4 aprile 2011, consid. 2.1, 2.2 e 2.5).

Una ulteriore censura si riferisce al calcolo degli alimenti a partire dal mese di febbraio 2021, dato che il Tribunale cantonale ha rifiutato di suddividere tra i due coniugi le risorse economiche che si sono rese disponibili dalla cessazione dei contributi alimentari a favore dei figli.
Nella fattispecie, va innanzi tutto premesso che non si tratta di calcolare alimenti post-coniugali, ma di alimenti coniugali, per i quali l'art. 163 CC rimane il fondamento materiale della domanda anche in caso di provvedimenti cautelari durante la pendenza del procedimento di divorzio (DTF 145 III 169, consid. 3.6). Per completezza va però rammentato che il Tribunale federale ha ripetutamente previsto per gli alimenti post-matrimoniali che, sebbene l'ultimo tenore di vita costituisca il limite superiore degli alimenti dovuti, si presume che le ulteriori risorse economiche derivanti dalla cessazione dell’obbligo contributivo per i figli siano da mettere a beneficio del tenore di vita coniugale: ciò significa che il coniuge tenuto agli alimenti non può semplicemente rivendicarli per sé (DTF 134 III 577, consid. 8; sentenza TF 5A_340/2011 del 7 settembre 2011, consid. 4.3 e 4.4; sentenza TF 5A_24/2016 del 23 agosto 2016, consid. 3.4.1), ma d’altra parte ciò non significa neppure che il reddito disponibile totale debba essere diviso schematicamente a metà e si deve pur sempre partire dal fatto che il tenore di vita goduto durante la convivenza costituisce il limite massimo degli alimenti dovuti al momento della separazione.
Altro discorso è quello in particolare delle quote di risparmio che non vengono consumate dalle spese aggiuntive legate alla separazione, che devono continuare a essere lasciate alla persona che le genera, perché il pagamento di un contributo alimentare coniugale eccessivo avrebbe la conseguenza di anticipare la liquidazione del regime matrimoniale, destinando al consumo (oltre alle spese aggiuntive legate alla separazione) risorse più consistenti di quelle che si avevano durante la convivenza sulla base di un accordo esplicito o tacito. Inoltre, possono emergere nuove risorse che superano lo standard vissuto in precedenza, ad esempio se l’altro coniuge intraprende un'attività lavorativa a seguito della separazione; in questo caso, può anche essere in grado di coprire da solo gli alimenti dovuti (cfr. DTF 134 III 145, consid. 4 sugli alimenti post-matrimoniali).
Tuttavia, fintanto che dura il matrimonio entrambe le parti hanno il diritto di beneficiare del tenore di vita comune determinate (cfr. DTF 147 III 293, consid. 4.4; DTF 114 II 26, consid. 8; DTF 115 II 424, consid. 3; DTF 118 II 376, consid. 20b; DTF 121 I 97, consid. 3b; sentenza TF 5A_516/2010 del 22 settembre 2010, consid. 4.2; sentenza TF 5A_904/2015 del 29 settembre 2016, consid. 5.1). Proprio come avviene dopo il matrimonio, i fondi liberati dal venir meno dell’obbligo alimentare per i figli possono a maggior ragione essere conteggiati per gli alimenti dovuti ai coniugi, perché in questo caso i coniugi non hanno consapevolmente vissuto in modo più parsimonioso di quanto i mezzi finanziari avrebbero consentito, ma hanno già precedentemente utilizzato tutti i fondi disponibili per la famiglia; ciò differisce dalla situazione in cui si è in presenza di quote di risparmio, per cui solo queste ultime devono ancora essere escluse da una distribuzione (cfr. DTF 147 III 265, consid. 7.3). Va notato che nel caso del "metodo a due fasi con ripartizione dell'eccedenza", il principio della ripartizione dell'eccedenza risulta direttamente dalla metodologia in quanto, di norma, deve essere suddiviso in parti uguali tra i coniugi o, nella misura in cui i figli partecipano all'eccedenza, secondo le teste grandi e piccole (DTF 147 III 265, consid. 7.3).
Nel caso concreto, in considerazione dell'età dei figli e del fatto che il procedimento di divorzio probabilmente si protrarrà a lungo, le disponibilità economiche saranno quasi inevitabilmente disponibili progressivamente man mano che i figli diventeranno economicamente indipendenti. Inoltre, è indiscutibile che le parti siano state in grado di mantenere un tenore di vita piuttosto elevato durante la loro convivenza. E poi, nessuna delle due parti rivendica quote di risparmio. Il Tribunale cantonale non ha tuttavia previsto di riconoscere alla moglie di partecipare ad eventuali eccedenze che si sono rese disponibili fino al tenore di vita determinante. Pertanto, non ha applicato l'art. 163 cpv.1 CC in modo corretto.


Data modifica: 01/01/2023

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