9c Art. 284 cpv. 2 CC

Pubblicazione: Estratto da Rivista ticinese di diritto II-2015 (III. Diritto di famiglia)


Modifica di una sentenza di divorzio – omologazione del giudice necessaria?

Gli ex coniugi possono modificare una convenzione sugli effetti del divorzio mediante semplice accordo scritto, tranne per quanto riguarda gli interessi dei figli. Tuttavia essi possono chiedere al giudice di non omologare un accordo di modifica anche se questo non tocca gli interessi dei figli. Condizioni per l’omologazione in un caso del genere.

I CCA 12.8.2014 N. 11.2012.27 (ricorso in materia civile respinto in quanto ammissibile dal Tribunale federale con sentenza 5A_723/2014 del 19.2.2015)


8.  […] a)  Una convenzione sugli effetti del divorzio dev’essere omologata dal giudice (art. 279 cpv. 2 CPC, corrispondente all’art. 140 cpv. 1 vCC). Successive modifiche possono invece formare oggetto di un semplice accordo scritto degli ex coniugi, tranne per quanto riguarda gli interessi dei figli, al cui proposito l’omologazione rimane necessaria (art. 284 cpv. 2 CPC; nel vecchio diritto: I CCA, sentenza inc. 11.2005.25 del 7 marzo 2008, consid. 4b in fine; inc. 11.2001.138 del 28 luglio 2003, consid. 6). Ciò non impedisce che gli ex coniugi possano chiedere di omologare una convenzione di modifica anche su questioni estranee agli interessi dei figli. In tal caso il giudice fa capo, per analogia, ai presupposti dell’art. 279 cpv. 1 CPC (Tappy in: CPC commenté, Basilea 2011, n. 13 in fine ad art. 285). Identico principio vale qualora gli ex coniugi raggiungano un accordo in esito a un’azione avviata da uno di loro per ottenere una modifica della sentenza di divorzio. Se l’accordo non tocca gli interessi dei figli e nessuna delle parti chiede l’omologazione dell’intesa, il giudice stralcia la causa dal ruolo per transazione. Se una parte invece chiede ugualmente l’omologazione, il giudice applica per analogia i presupposti dell’art. 279 cpv. 1 CPC (Dolge in: Brunner/Gasser/Schwander, Schweizerische ZPO, Zurigo/S. Gallo 2011, n. 9 ad art. 284).

b)  L’art. 279 cpv. 1 CPC (identico all’art. 140 cpv. 2 vCC) stabilisce che il giudice omologa una convenzione sulle conseguenze del divorzio quando si sia convinto che i coniugi abbiano stipulato l’intesa «di loro libera volontà e dopo matura riflessione». Non tocca al giudice indagare su eventuali vizi occulti del consenso. L’accertamento della matura riflessione consiste nel sincerarsi che le parti abbiano capito la portata e le conseguenze degli impegni presi, che la loro volontà sia seria e durevole, che l’accettazione non sia dovuta a precipitazione o a spossatezza. Un accordo stipulato nel corso di un’udienza in tribunale al cospetto dei rispettivi patrocinatori si reputa concluso «dopo matura riflessione» (Pichonnaz in: Commentaire romand, CC I, n. 48 in fine ad art. 140 vCC). Del resto una transazione formalizzata dai coniugi davanti al giudice non soggiaceva al termine bimestrale di riflessione nemmeno sotto il vecchio diritto (Pichonnaz, op. cit., n. 35 in fine ad art. 140 vCC con richiamo).

9.  […] a)  Il giudice omologa una convenzione sulle conseguenze del divorzio (rispettivamente sulla modifica di conseguenze del divorzio), inoltre, quando si sia convinto che i coniugi hanno stipulato un’intesa non solo «di loro libera volontà e dopo matura riflessione» (come si è visto: consid. 8b), ma anche un’intesa che sia «chiara, completa e non manifestamente inadeguata» (art. 279 cpv. 1 CPC, analogo all’art. 140 cpv. 2 vCC). Trattandosi di una convenzione di modifica, l’accordo deve annoverare con chiarezza tutti gli elementi regolati in modo diverso rispetto alla disciplina anteriore. Ciò non significa che il giudice esamini ogni cambiamento con piena cognizione. Per quanto riguarda i contributi di mantenimento dopo il divorzio, in specie, continua a valere il principio dispositivo (art. 277 cpv. 1 CPC). Il giudice si limita così a intervenire nel caso di modifiche manifestamente inadeguate. Esamina con pieno potere cognitivo, invece, le questioni rette dal principio inquisitorio «illimitato», come quelle in materia di filiazione (art. 296 cpv. 1 CPC) e di previdenza professionale (art. 280 e 281 CPC).

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